La malattia


Alois Alzheimer (1864-1915)
E’  il medico tedesco che ha descritto per la prima volta la malattia che porta il suo nome in una donna, Augusta D, che venne ricoverata all’età di circa 50 anni nell’ospedale di Francoforte dove egli lavorava. La paziente morì nel 1906 e Alzheimer ottenne il suo cervello. Descrisse così le caratteristiche alterazioni del cervello: le placche neuritiche (o amiloidi) che si accumulano tra le cellule nervose (neuroni) ed i grovigli neurofibrillari che si osservano all’interno delle cellule in degenerazione. Alzheimer presentò per la prima volta le sue scoperte nello stesso anno 1906 ad un congresso di Psichiatria tenutosi a Tubinga.Gli studi successivi, condotti nella Clinica Psichiatrica di Monaco di Baviera diretta da Emil Kraepelin (un padre della neuropsichiatria) con l’aiuto dell'italiano Gaetano Perusini (tanto che alcuni sostengono che si dovrebbe parlare di malattia di Alzheimer-Perusini), permisero di definire meglio la malattia che finalmente trovò spazio nella nosografia, si dice anche per il potere accademico di Kraepelin che, per primo, chiamò appunto la nuova forma di demenza come “morbo di Alzheimer” nel suo celebre “Trattato di Psichiatria”


La Malattia di Alzheimer
 E’ una malattia cronico-degenerativa caratterizzata da una lenta e progressiva degenerazione neuronale che compromette le capacità cognitive, altera il comportamento e determina una perdita delle autonomie funzionali, ovvero determina demenza.Rappresenta circa il 50-80% di tutte le forme di demenza.
I In continuo aumento a causa del fenomeno dell'invecchiamento della popolazione, rappresenta una delle più significative "emergenze" che i sistemi socio-sanitari si trovano ad affrontare. Alcuni studi italiani hanno permesso di stimare una prevalenza della malattia di Alzheimer tra il 2,5 e il 4,5% nella popolazione italiana ultrasessantenne. Questo vuol dire che, se in un dato giorno andassimo a contare in Italia quante persone sono affette da questa malattia, troveremmo un numero di casi variabile approssimativamente tra 350.000 e 600.000. Si stimano circa 65000 nuovi casi per anno in Italia: una nuova città grande quanto o più alcuni capoluoghi di provincia italiani. La malattia tende ad essere più frequente con l’aumento dell’età. La maggior parte dei casi esordisce dopo i 65 anni, ma esistono forme ad esordio precoce, con casi descritti fin nella terza decade di vita. Secondo alcune stime statunitensi il 45% delle persone affette da m. di Alzheimer ha un’età maggiore di 75 anni. Prevale nel sesso femminile e questo sembra essere legato primariamente al fatto che le donne vivono più a lungo.
Nella grande maggioranza dei casi è una malattia sporadica, cioè non è a carattere genetico. Le forme genetiche, cioè che si possono trasmettere dai genitori ai figli, sono estremamente rare, essendo meno del 5% di tutti i casi e esordiscono tipicamente prima dei 60 anni. In questi rari casi la malattia è dovuta ad una mutazione genetica.
La presenza di queste forme genetiche è di grande aiuto per stabilire le cause della malattia di Alzheimer che nelle forme sporadiche sono ancora oscure, anche se si conoscono alcuni meccanismi con cui si crea il danno delle cellule nervose e con cui esordiscono i disturbi. Si conoscono, inoltre, alcuni fattori di rischio tra cui anzitutto l’età e poi storia di traumi cranici gravi, depressione, fumo, ipertensione arteriosa, alti livelli di colesterolo nel sangue, diabete mellito, dieta priva di frutta e vegetali, bassa scolarità e attività intellettuale con scarse interazioni sociali.

Inizia in maniera subdola e insidiosa, tanto che spesso nemmeno i familiari se ne accorgono. L'evoluzione della malattia può essere suddivisa, con molta approssimazione, in tre fasi.
La prima fase è caratterizzata da perdita di memoria e da progressiva incapacità di imparare nuovi concetti o nuove tecniche. Possono insorgere ansia e depressione, secondarie ai fallimenti e alle difficoltà che il malato incontra nel far fronte a situazioni usuali. Si notano modificazioni del carattere e della personalità, difficoltà nei rapporti con il mondo esterno, diminuzione delle capacità percettive visuo-spaziali, incertezza nei calcoli e nei ragionamenti che richiedono giudizio logico. Già in questa fase c’è necessità di supervisionare il malato, almeno nelle attività più complesse.
La seconda fase è caratterizzata dal peggioramento delle difficoltà già presenti, dalla perdita di gestualità finalizzata (aprassia), del riconoscimento di luoghi e persone (agnosia). Di conseguenza le azioni della vita quotidiana diventano problematiche e la progressiva perdita di memoria (amnesia) e le difficoltà ad orientarsi creano situazioni di pericolo (perdersi per strada, lasciare il gas acceso, ecc.), rendendo il malato perennemente insicuro e confuso. Presto sono perdute anche le capacità di leggere e di scrivere (alessia, agrafia). I disturbi del linguaggio (afasia) e il peggioramento delle capacità visuo-spaziali, ma soprattutto l'insorgenza di disturbi comportamentali (agitazione, aggressività, apatia, inversione sonno-veglia, ecc.) rendono difficili anche i rapporti con i congiunti, con un deteriorarsi globale della qualità di vita di tutta la famiglia. Le autonomie funzionali possono essere molto compromesse ed il malato può essere incapace di gestire autonomanente le comuni attività della vita quotidiana, il che corrisponde a considerarlo non autosufficiente.
La terza fase è caratterizzata dalla comparsa di difficoltà nel camminare fino all’allettamento, rigidità degli arti, incontinenza totale; le espressioni verbali giungono all’emissione di suoni incomprensibili o al mutismo, le capacità di comunicazione diventano sempre più scarse; ci sono difficoltà nella deglutizione e nella masticazione, con difficoltà crescenti nell’alimentazione e idratazione fino al problema di scegliere se ricorrere o no al posizionamento di un sondino naso-gastrico oppure di una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG). La morte avviene spesso in occasione di complicanze infettive, in particolare polmoniti facilitate dall’inalazione anche solo di saliva nei polmoni.
Il tentativo di identificare tappe sequenziali nello sviluppo della malattia nasce dalla necessità del malato di Alzheimer di avere una diagnosi accurata e una precisa stadiazione di malattia, poiché a fasi diverse corrispondono bisogni e carichi assistenziali differenti. 
E’ una malattia inguaribile e le terapie esistenti sono soltanto sintomatiche, ovvero possono migliorare alcuni sintomi ma non modificano la progressione della malattia.
Un’intensa attività di ricerca è in atto, ma ancora non si intravedono soluzioni farmacologiche che pongano un rimedio significativo alla gestione della malattia.
La principale fonte di supporto assistenziale proviene dai i familiari, che  troppo spesso sono sovraccaricati dalle necessità assistenziali, mettendo a rischio la propria salute psico-fisica.
L'elevato numero di persone affette da malattia di Alzheimer e, più in generale, da demenza e la previsione di un progressivo aumento numerico di tale numero nei prossimi anni, come già detto a causa del fenomeno d'invecchiamento della popolazione, rendono necessaria la definizione di una specifica rete di servizi socio-sanitari che individui percorsi rispondenti ai bisogni delle persone affette da demenza e delle loro famiglie lungo il divenire della malattia, dalla diagnosi alla morte.
Progettare ed approntare servizi di assistenza globali per il malato e la famiglia ed intervenire con approcci non solo farmacologici, sono le uniche possibilità per assicurare al paziente ed alla famiglia una qualità di vita accettabile e dignitosa.

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